Uno screenshot dallo sparatutto militare per Playstation Homefront.
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Fra chat e ISIS: le intercettazioni ci salveranno dal terrorismo?

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Ricordo quando ero in età preadolescenziale e la mia mamma mi rimproverava di passare troppe ore davanti ai videogiochi. “Hai sentito di quel ragazzo che dopo aver giocato un sacco di ore a Street Fighter è uscito di casa per picchiare la gente? Da oggi tu non ci giochi più.”

Sono passati 20 anni e ho visto un ghigno di soddisfazione sul suo volto quando è uscita la notizia che i terroristi dell’Isis utilizzavano la piattaforma di chat della Playstation 4 per coordinare i loro attacchi. Che poi si è rivelata essere una bufala.

Come comunicano i terroristi?

Questo ennesimo tentativo di demonizzare le console da gioco si colloca in un dibattito che da qualche giorno è tornato ad accendere le tribune politiche: quali chat usano i terroristi per comunicare fra loro? Si possono monitorare i sistemi di messaggistica istantanea per tutelare la sicurezza pubblica?

L’esperto di crittografia Corrado Giustozzi ha bocciato l’ipotesi di chat create ad hoc dagli eversori, spiegando che le soluzioni artigianali hanno sistemi di crittografia deboli e sono meno sicure degli strumenti già sul mercato. I canali aperti, oltre ad avere sistemi più efficienti, danno meno nell’occhio.

Le app di messaggistica istantanea più sicure

La prima regola di buon senso nella scelta della chat è che più il sistema è popolare, più è probabile che sia intercettabile dal gestore del servizio. Un esempio lampante è quello di Skype, che dopo l’acquisizione di Microsoft ha rivoluzionato la sua struttura di server per centralizzarli e consentire eventuali intercettazioni su richiesta delle autorità. Operazione assai costosa, peraltro.
Altre chat famose come Facebook, Viber e Whatsapp sono carenti sul fronte sicurezza in aspetti come crittografia, verifica dell’identità dell’interlocutore, conservazione delle conversazioni passate.

E per quanto riguarda le app meno popolari? Solitamente i sistemi di messaggistica emergenti sono favorevoli a una maggiore sicurezza per l’utente e si dichiarano impermeabili alle logiche di mercato proiettate ad aumentare il parco utenti per poi vendersi a un colosso informatico. Spiccano nomi come RedPhone, Signal e ChatSecure, o l’emblematico caso di Threema.

I sistemi di chat consigliati dall’ISIS per comunicazioni sicure.

Il difficile equilibrio fra sicurezza e privacy

Quando l’app di messaggistica svizzera si è vista tra i sistemi consigliati in una classifica redatta dall’ISIS stesso, il portavoce Roman Flepp è intervenuto sulla questione difendendo la crittografia del suo prodotto e rimarcando come la libertà di espressione e riservatezza non possono essere sacrificate in nome di un falso senso di sicurezza.

Sicurezza che verrebbe paradossalmente violata se i sistemi di crittografia consentissero accessi da terze parti. Una volta che è stata creata una porta secondaria per accedere ai contenuti di un database, chi ci dice che da quella porta non penetri un criminale informatico, o che governi poco orientati alla libertà di espressione ne abusino per opprimere i cittadini? Un maggiore controllo da parte dei governi porta con sé delle serie conseguenze etiche.

La comunicazione non è solo chat

Ed anche in una distopia orwelliana in cui ogni servizio di chat è monitorato dai governi esisterebbero decine di sistemi alternativi per comunicare. L’analista Graham Cluley supera ironicamente lo scandalo Playstation ipotizzando comunicazioni attraverso mosse prestabilite in app per giocare a scacchi, o attraverso gli schizzi del celebre gioco Draw Something.
Ancora una volta i governi si mostrano poco pratici con le questioni tecnologiche, e avanzano idee che limitano i diritti della collettività per arginare i rischi causati da un piccolo gruppo. In modo fallimentare.

E così, mentre il ministro Orlando preme per una sorveglianza su chat private e Playstation e il presidente Renzi promette di oscurare internet in caso di futuri attentati terroristici, io sono ancora qui a spiegare a mia mamma che i videogiochi non trasformano in terroristi.

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